TORINO LA MIA CITTÀ. UN PROGETTO PER DONNE MIGRANTI.

Di Simona Borello e del gruppo Meic di Torino




Foto di Andrea Pellegrini


Patrizia Pastore ha sempre avuto a cuore il benessere delle donne e delle persone più fragili, l'esperienza come Presidente dell'Acisjf ne è una testimonianza. Ci piace pensare che una progettualità come quella promossa dal Meic torinese da 20 anni e che qui stiamo per raccontare sarebbe stata un'azione degna della sua attenzione, della sua stima e benevolenza. Il racconto avviene con la voce di Maria Adele Valperga Roggero, animatrice del dialogo interreligioso e islamocristiano in Torino all’interno del Mei di Torino e di Mondi in Città (https://www.mondincitta.it/mic/) e promotrice del progetto Torino la mia città – alfabetizzazione e cittadinanza attiva per donne immigrate attivo dal 2000, che abbiamo intervistato per questa occasione.

Quando e perché il MEIC ha iniziato a interessarsi di dialogo tra le culture e le religioni?

Quando nell’ultimo decennio del secolo scorso le migrazioni dai paesi del sud del mondo stavano diventando rilevanti anche in Italia ci siamo resi conto di quanto fosse importante formare i formatori che avrebbero dovuto interfacciarsi con i nuovi cittadini. Abbiamo quindi organizzato per alcuni anni corsi di formazione rivolti a insegnanti, operatori sociali, parrocchie e volontari per far conoscere le culture e le religioni dei paesi di provenienza dei migranti. L’attenzione si è presto indirizzata soprattutto sul mondo dell’Islam sia per il numero rilevante di immigrati provenienti dai paesi islamici sia perché questa religione suscitava curiosità e perplessità e a volte anche rifiuto dovuto ai molti pregiudizi che nel corso della storia sia erano sedimentati.

Perché si è concentrata l'attenzione sulle donne migranti, in particolare nordafricane?

Dopo anni di attività di formazione dei formatori abbiamo sentito che era giunto il momento di entrare direttamente in azione con la popolazione migrante e abbiamo deciso di occuparci di donne e mamme di famiglia con figli piccoli che più di altre categorie erano escluse dai percorsi di integrazione che la città offriva (infatti non esisteva e tuttora non esistono attività che prevedano il baby sitting). È nato così il progetto “Torino la mia città - percorsi di cittadinanza attiva e di italiano per donne immigrate” aperto a tutte le donne immigrate accompagnate da bambini in età prescolare per i quali è organizzato un servizio di animazione.

Com'è cambiata questa esperienza sia dal punto di vista di chi accoglie sia di chi è stato accolto.

Avevamo iniziato con un piccolo gruppo di donne nel quartiere di Porta Palazzo e nel corso degli anni il nostro progetto si è espanso in quattro quartieri ad alta intensità migratoria. Ora frequentano i nostri corsi più di 380 donne all’anno accompagnate da 180/200 bambini (principalmente provenienti dai paesi arabofoni del nordafrica). Il gruppo di lavoro è formato da 30 persone fra insegnanti di italiano lingua 2, volontarie, mediatrici culturali, baby sitter. Il nostro progetto è diventato un punto di riferimento importante per tutte le donne che giungono a Torino. Trovano in noi uno spazio e delle persone che le accolgono, che ascoltano i loro bisogni, che forniscono loro i primi strumenti per muoversi nella città (prima di tutto la lingua italiana in collegamento con i CPIA che accreditano i nostri corsi per ottenere le certificazioni linguistiche). Il gruppo di lavoro negli anni ha sviluppato uno stile condiviso fatto di comprensione dei bisogni, di competenza nell’insegnamento, di aiuto reciproco, di confidenza e di amicizia reciproca. Si formano così persone fiere di sentirsi torinesi a tutti gli effetti e capaci di restituire ad altre ciò che hanno ricevuto.

A un certo punto il MEIC ha deciso di fare un passo avanti e ha dato il via alla onlus Mondi in città. Al di là dei risvolti pratici, cosa ha portato all'organizzazione delle attività e alle iniziative proposte?

Abbiamo potuto rendere più laico l’impegno nel dialogo interculturale e consentire di coinvolgere nell’azione una rete più vasta di associazioni e enti che operano a Torino in questo campo, come le biblioteche civiche, il Museo Egizio e i Musei Reali con i quali abbiamo potuto realizzare progetti di formazione di guide interculturali per coinvolgere le famiglie immigrate alla scoperta del nostro patrimonio museale, l’Ufficio Pio, le fondazioni bancarie, i servizi sociali del Comune di Torino. Il MEIC continua comunque a sostenere i nostri progetti sia dal punto di vista culturale sia con il contributo dell’8 per mille assegnato dalla Diocesi di Torino.

Puoi raccontarci come è nata la giornata del dialogo del 27 ottobre e perché si è subito aderito?

La giornata del dialogo islamo-cristiano è nata nel 2001 in seguito ai tragici eventi dell’11 settembre per contrastare l’ondata di islamofobia che tale tragico evento aveva suscitato. È stata scelta la data del 27 ottobre per ricordare la preghiera interreligiosa di Assisi voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Da subito a Torino abbiamo creato la “Rete del dialogo cristiano-Islamico” con il compito di realizzare ogni anno questo evento che man mano ha visto crescere le adesioni sia da parte cristiana che musulmana. Il gruppo promotore di cui MEIC e Mondi in Città fanno parte ha sviluppato al suo interno autentici rapporti di amicizia e collaborazione che hanno fatto fiorire tante iniziative collaterali in occasioni varie come l’apertura delle moschee durante il mese di Ramadan, l’Iftar in strada, gli incontri interreligiosi per la festa della donna, realizzati di volta in volta in luoghi sia islamici che cristiani.

Durante gli ultimi anni ci sono stati anche diversi incontri tematici insieme ad altre associazioni islamiche ed ebraiche: quali sono le sfide cruciali dei tempi attuali da affrontare insieme?

Certamente il tema della pace e del rispetto del creato. Occorre che le religioni, dopo secoli di lotte per la supremazia, diventino l’esempio e lo stimolo per tutta l’umanità nel costruire ponti di pace e di dialogo fra i popoli, le culture, le singole persone. Solo attraverso il rispetto reciproco, il dialogo pacifico, la condivisione di obiettivi comuni per il bene del creato si potrà sperare nella realizzazione di un futuro migliore per le prossime generazioni.